Radio Bullets > Non ti scusare mai per le cose che dici prima del caffé

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Svegliarsi al mattino con il rumore del camion della spazzatura che fa traballare i bidoni di latta non è uno scherzo [continua]

Svegliarsi al mattino con il rumore del camion della spazzatura che fa traballare i bidoni di latta non è uno scherzo, ma Simon lo conosceva bene. Aveva scelto di vivere in quel quartiere perché gli affitti costavano meno e forse anche perché proprio al Marksman, il locale sotto casa, aveva incontrato Nancy, e i primi mesi con lei erano stati i più amorevoli e spensierati della sua vita. Ma parliamo ormai di più di dieci anni fa. Ora Nancy dormiva con il viso sprofondato nel cuscino, russava leggermente. Simon le guardava i capelli arruffati in una sorta di cespuglio grigio-biondo. Al Marksman si incontrarono per caso. Simon era uscito con un amico per seguire la partita del Tottenham. Sciarpa blu e tutto. E ordinando una pinta, con una certa ruvidità e senza togliere gli occhi dallo schermo, non si accorse che passò davanti ad una ragazza. Scusami, disse facendo un passo indietro, vai pure. Ma quel passo indietro fu fatale. Piombò addosso ad un cameriere per imbrattagli la divisa del resto di un piatto di pollo e patatine che stava riportando in cucina, il cameriere cadde addosso a due che stavano guardando la partita e uno pure aveva il bicchiere della birra a fior di labbra. Rovesciò tutto e cosparse il vecchio tavolo di birra. Sul tavolo c’erano dei documenti di un tizio che invece di guardare la partita stava lavorando circondato da quel baccano. Successe tutto in una frazione di secondo. La ragazza si portò la mano davanti alla bocca e rise. Bel casino hai fatto, disse infine. Si guardarono. Erano passati dieci anni. La accarezzò. Che fai? disse lei ovattata nel cuscino. Simon aveva bisogno di un caffè.

Entrò in doccia. Il sapone era finito. Si lavò con lo shampoo. Si chiedeva perché Nancy si ostinava a comperare quello al gusto lime. Ce n’era troppo, di lime. E gli pizzicava le parti intime. Intanto Nancy si era alzata e andò al bagno a fare la pipì. Perché ti ostini a comperare lo shampoo al lime? Lei mormorò qualcosa ma Simon non la sentì.

Intanto il vicino aveva cominciato la sua giornata come ogni mattina con Wagner. Ormai a Simon piaceva pure. Seguiva le melodie con lo shampoo nei capelli, quella iniziale di Sigfrido la riconobbe in un film al cinema e lo sussurrò a Nancy con una certa fierezza. Sulle scale, un giorno, chiese al suo vicino il perché di quella musica classica alle sette e mezza del mattino. L’altro non si finse sorpreso. Conosci Joe Toschi?, gli chiese. Simon fece di no con la testa. Il vicino strinse le labbra come a dire allora non lo capirai mai e se ne andò. Poi Simon non era andato a cercare chi fosse Joe Toschi, ma continuava a fare la doccia con Wagner al di là del muro.
Infilate le scarpe e uscito in strada, imprecò per aver dimenticato il berretto. Il vento dei primi di novembre a Londra è una lama che gioca a schivarti le guance e le orecchie. Il cielo ceruleo mostrava qualche raggio di sole, ma dall’altro lato della strada. Da Hackney alla City la strada era lunga, un’oretta a piedi, ma Simon aveva preso a camminare per tenersi in forma, ora che la pancia gonfia continuava a gonfiarsi sempre di più. Da ragazzo non era male come atleta. Va da sé, era calciatore. Più che altro, aveva mira. I cross li pennellava sui piedi dei compagni senza fatica. Ma aveva vinto l’accidia e il treno orami era passato da vent’anni. Ora aveva un contapassi e si era dato l’impegno di farne ventimila al giorno, lo aveva letto da qualche parte che bastano quelli. Oltre ai passi, provava un bar diverso ogni giorno. Aveva fatto il conto che nella sua ora a piedi al mattino ne passava circa duemila. Per duecentocinquanta giorni lavorativi all’anno fanno 8 anni di bar diversi ogni giorno, gli sembrava un bel gioco. Aveva l’idea pure di tenere un blog, the bar walker, un nome senza tanta fantasia, ma ancora, vinse l’accidia.

Dal giornalaio comprò il Telegraph e lo mise sottobraccio. Cercò in tasca le monete ma non le trovò. Allora? chiese il giornalaio. Eh, non trovo le monete. Allora niente giornale. Dai ripasso domani. No. Restituì il Telegraph cercando di sbirciare le notizie dello sport perché a lavoro avevano bloccato tutti i siti. Un giorno aveva dimenticato i soldi dal barbiere. Quello non gli disse niente e tornò il giorno successivo con i soldi. Stronzo, disse Simon stretto nella sciarpa, ma era già lontano. Aveva decisamente bisogno di un caffè.

Passando il Regent’s canal dopo aver superato Broadway Market con i bar che ormai aveva provato tutti e deciso che il migliore era il Poco, quello spagnolo tutto organic e sorrisi, al semaforo incrociò alcuni bambini che correvano verso scuola con le loro uniformi viola e la cravatta a righe oblique azzurre e gialle. Inguardabili, disse a voce alta seguendoli con lo sguardo. Una signora lo squadrò ma lui non se ne accorse. Accelerò il passo perché gli sembrava di sentire già il profumo delle brioche appena sfornate, ma era impossibile perché doveva camminare ancora tanto prima di arrivare. Dall’impressione di forno passò ad un tanfo insopportabile infilandosi in una via colma di bidoni e spazzatura. Si tappò il naso e continuò dritto. Al flower market passò in rassegna: un vecchio che beveva vino seduto a terra con un cane appisolato al fianco, un giovane che suonava blues con una chitarra sfinita e dei piccoli cembali legati ad una scarpa, due lavoratori con un giubbotto giallo fluorescente e una tazza fumante in mano. Un tipo in bici da corsa arrivò a tutta velocità e li schivò tanto che questi dovettero tirarsi mezzo passo indietro prima di urlargli dietro qualcosa. Schivò anche Simon facendo una derapata su una pozzanghera e schizzandogli addosso una fanghiglia compatta sul giubbotto beige. Si unì al coro di insulti. Aveva un disperato bisogno di un caffè.

Si accorse che era terribilmente in ritardo. Avrebbe preso la metro. La pasticceria era proprio vicino alla overground di Hoxton. Da lì avrebbe proseguito fino a Shoredich, sceso e preso il bus 242 fino alla City. Ma ora non voleva pensarci, almeno per dieci minuti.

Arrivò al bar, Fabrique si chiamava. Aveva letto che una famiglia svedese allargata si era trasferita a Londra per aprire un forno di brioche e pane svedese. Sorelle, cugini, nonni, tutti. Entrato, respirò il profumo del pane. Ordinò un pain au chocolat con un caffè lungo. Una ragazza stava preparando dei roll alla cannella. Si sedette e addentò la brioche. Si sentiva bene. Bevendo l’ultimo sorso si accorse di una scritta su una lavagna dietro al bancone. Non ti scusare mai per le cose che dici prima del caffè.

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