Radio Bullets > Rischio tutti i giorni e non mi spavento mai [PODCAST]

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Lucy si svegliò e lui non c’era. Passò il palmo della mano sulle lenzuola ancora calde, Chris non può essersi alzato da molto. Si strinse nelle coperte ricordando la notte che avevano passato. [continua]

Lucy si svegliò e lui non c’era. Passò il palmo della mano sulle lenzuola ancora calde, Chris non può essersi alzato da molto. Si strinse nelle coperte ricordando la notte che avevano passato.
A casa di Chris, Lucy non ci voleva dormire perché c’era stata una sparatoria nelle vicinanze e le sirene della polizia continuavano a suonare e c’era la stampa e un sacco di gente che era venuta a vedere. Ci abitavano personaggi famosi lì, vicino al Victoria Park. Insomma avevano deciso di passare la notte dai suoi di Lucy che stavano nei pressi dei London Fields, e arrivarci con Uber sarebbe stato un attimo.

Entrati in casa sua madre li accolse con un abbraccio che era durato un po’ più del dovuto, o almeno questo pensava Chris, che con le madri delle sue ragazze aveva sempre un ottimo rapporto. Il padre si era ammalato qualche mese prima e stava a letto a leggere il giornale. Salutò comunque da lontano. Lucy prese Chris per mano e lo portò nella stanza di suo padre. C’era quello strano odore di penicillina e mentre li guardava parlare insieme, Lucy pensò che Chris gli assomigliava tantissimo. Li lasciò soli e andò in cucina ad aiutare la madre a preparare la cena.
«Non mi sono mai accorta di quanto Chris assomigli a papà», disse lei tagliando a fettine le patate.

Dopo cena finirono per tirare fuori le foto di Lucy da piccola e lei all’inizio si vergognava ma poi cominciò a raccontare di quando faceva danza artistica, di quella stronza della prof di inglese, della volta in cui finì al pronto soccorso per essersi ubriacata di vodka.
«Ma dai Lucy», diceva sua mamma seduta di fianco a Chris stretti sul divanetto, «cosa dici?». Chris guardava Lucy con i suoi occhi nocciola, i capelli brizzolati e quelle sue mani affusolate appoggiate alle ginocchia. «Vi preparo il letto», concluse la madre.
La camera era diventata uno studio.
«Da quando tuo padre si è ammalato ho spostato la sua camera giù e qui mi son fatta il mio ufficio». Al posto del letto infatti c’era una grande scrivania con il computer, un calendario dalle dimensioni esagerate pieno di scritte e una calcolatrice vecchia, quelle elettroniche che quando le usi sembra tritino la carta del rullino invece di imprimere i numeri d’inchiostro.
Lucy e Chris dormirono nel divano-letto e fecero l’amore. Soffocavano le risate perché avevano paura che i suoi li sentissero e a 35 anni quelle che chiamavi avventure si sciolgono in sorrisi di complicità, quelle cose che ti fanno stare semplicemente bene.

La mattina successiva Lucy ancora si attardava a letto quando sentì sua madre ridere sonoramente. Chris se n’era andato al vicino mercato dei fiori, aveva preso un gran mazzo di tulipani con il gambo lungo e li aveva portati a sua madre. Quando entrò in camera teneva una mano dietro la schiena. Lucy faceva finta di dormire. Chris le passò un mazzo di foglie di eucalipto sotto il naso, le sue preferite. Lei rise e lo abbracciò tanto da farlo cadere sul divano-letto e stropicciare tutti i fiori.

Fu uno dei giorni più belli della sua vita, Lucy lo ricordava che faceva male perché parliamo di otto mesi fa. Chris se n’è andato proprio il giorno dopo. Ed era sparito completamente. Nessuna chiamata, nessuna spiegazione. Dopo due anni insieme, due anni insieme, come ripeteva nei pensieri. A casa sua non rispondeva, dei suoi genitori non ne aveva mai parlato. Lucy sapeva solo che era ricco e cenava tre volte la settimana da Franklin, dove ti riempiono il bicchiere di vino quando ne hai poco, ma da Franklin c’era pure andata a sbirciare dalle vetrate e non l’aveva visto mai. Chris era svanito, si era dissolto, evaporato in un soffio. E Lucy era tornata a vivere dai suoi perché una casa non poteva permettersela e sua mamma continuava a dirle di stare lì.

«Sai che oggi ha chiamato Chris?», disse sua madre di fronte alla frittata che aveva preparato per colazione. Era domenica mattina e il sole si era sdraiato sulla tovaglia. Lucy fece finta di niente ma divenne rossa, uno strano calore partì dalle dita che tenevano la forchetta e il coltello e salì su fino alla testa.

«Ha chiamato», continuò sua madre, «solo per salutare. Non ha chiesto di te, ha solo detto “Volevo sapere se è tutto ok”. Gli ho risposto che è tutto ok e ho riattaccato».
«Non ne voglio sapere niente di lui!» urlò Lucy, tanto che suo padre alzò gli occhi dal piatto, si portò l’indice davanti al naso e fece sssshhhhh.

Di sopra, nello studio di sua mamma, Lucy accese il computer e cominciò a cercare Chris Mann su Google. Non c’erano notizie, sembrava non esistesse. Cliccò su immagini. Neppure lì. Arrivò fino alla terza pagina finché trovò il suo nome associato ad un ritratto di un ufficiale della battaglia di Culloden del 1746. Decise di spegnere il computer.

Scese le scale e tornò in cucina. Si accostò a sua madre e cominciò ad asciugare i piatti. Alla radio parlava un tizio. «Ascolta», disse il padre. La voce raccontava di come viviamo in bilico tra ciò che ci spaventa e ciò che è rischioso. La maggior parte delle persone vive senza rischi ma costantemente spaventata. Al lavoro non si rischia niente ma si ha paura di cambiare; l’amore è pacifico e senza rischi perché siamo spaventati dallo stare soli; del nostro corpo ne sappiamo pochissimo perché vogliamo evitare i rischi della conoscenza ma siamo terrorizzati dalle malattie. Quell’uomo parlava e Lucy si avvicinò con l’orecchio alla radio sopra la credenza. “Un giorno”, diceva la voce, “decisi di invertire questa relazione. Mi sono licenziato da una multinazionale di consulenza e ho aperto un birrificio. Oggi rischio tutti i giorni e non mi spavento mai”.
Il padre la guardò. Lucy corse in camera, si vestì, scese rapidamente e uscì in strada. Raggiunse il mercato dei fiori e comperò un gran mazzo di tulipani con il gambo lungo e alcuni rami di eucalipto. Tornò a casa, li sistemò in camera del padre che si era sdraiato con la sua testa pelata dalle cure e quella faccia bianchiccia.
«Quanto manca, Lucy?»
«Solo tre settimane».
«E sai già come lo chiamerai?»
«Come te, papà».

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