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Ognuno ha la propria forma di meditazione. Lo diceva sempre Katriina, finlandese di Kokkola, in quell’occidente di Finlandia in cui si parla ancora svedese e al supermercato comperi i salmiakki, liquirizie salatissime.

Ognuno ha la propria forma di meditazione lo diceva sempre Katriina dopo le ore chiusa nella piccola stanza con l’harmonium a suonare Souvenir di Sibelius, che è la più finlandese delle canzoni, e le esili dita saltellavano tra i tasti bianchi e neri, e se ti capitava di entrare e sederti sul divanetto speculare al piano, ti accorgevi della rapidità con cui muoveva le dita e a poco a poco venivi coperto da semitoni con tutti quegli spigoli ed era meglio scivolare via dal divanetto e andarsene. E poi lei sarebbe comparsa in cucina con i capelli arruffati e se le chiedevi Ma perché così tanto tempo? lei ti rispondeva con quella frase.

Ognuno ha la propria forma di meditazione ricordo che me lo disse una notte, occhi a fessura a sbirciare oltre i vetri della grande finestra di camera sua. Fuori in strada camminava anzi dondolava un uomo sulla farinata di neve di metà ottobre. Si fermò, borbottò qualcosa all’asfalto sotto i suoi piedi, e poi riprese il cammino, e lei ancora aveva indovinato perché girandosi dall’altra parte nel letto disse quella frase.

Ognuno ha la propria forma di meditazione fu l’ultima cosa che ci dicemmo in aeroporto, dopo un fine settimana senza più litigare a Suomenlinna, di fronte a Helsinki, a lanciare sassi nell’acqua scura, a scambiare gli ultimi sguardi, a giustificarci tutto con quella lontananza.

E allora quando sembra manchi un senso nelle cose che uno fa, il significato in realtà c’è eccome. Come quando si comincia a riscaldare il barbeque al mattino per mangiare la sera e si cercano le foglie di alloro per profumare la carne; o quando uno riguarda la sesta volta lo stesso film; o si sveglia mezzora prima tutte le mattine solo per fare un po’ di giardinaggio. Il senso non è manchevole, è che, come diceva Katrina, ognuno ha la propria forma di meditazione.

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