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La magia è solo scienza che non ci siamo ancora spiegati

La puntata per Radio Bullets del 19 settembre 2016

Questa è la storia diello scrittore Roald Dahl per ricordare i 100 anni dalla nascita

Il destino nel suo nome. Nomen omen. Roald Amudsen è stato un esploratore norvegese che raggiunse il Polo Sud nel 1911, e Harald Dahl, commerciante che aveva perso un braccio in un incidente a 14 anni e, diventato poi ricco, si era spostato a vivere a Parigi dalla Norvegia, diede al suo ultimo figlio proprio il nome dell’avventuriero del Polo Sud, Roald, Roald Dahl. E il piccolo Roald si chiedeva come facesse il padre, con una sola mano, ad allacciarsi le scarpe più velocemente di lui.

Ma all’età di tre anni Roald perse il padre, che non resse alla morte della figlia prediletta, scomparsa per una appendicite all’età di 7 anni. E crebbe con la madre Sofia, norvegese, in una piccola casa in Galles, circondato dalle sorelle e le molte storie e fiabe che la madre raccontava. Ma fiabe norvegesi, crudeli, come quelle raccolte dai fratelli Grimm in Germania, fiabe in cui i bambini vengono cotti in grandi pentole, perdono la testa per una bugia, cadono in pozzi talmente profondi che per ore non si sente il tonfo del corpo.


A vent’anni Roald va in Africa, a Mombasa, a lavorare per la Shell, per poi arruolarsi alla Raf, la Royal Air Force, a Nairobi e diventare aviatore. Viene spedito negli Stati Uniti, a Washington, e diventa una spia partecipando alla vita mondana della capitale statunitense.

Ma come fa un aviatore inglese della seconda guerra mondiale, diventato spia negli Stati Uniti, con quelle sue labbra sottili anzi assottigliate dalle notti d’Africa a pararsi il viso dal vento di sabbia, scrivere racconti per l’infanzia, forse i più bei racconti per l’infanzia? Lo fa perché, come ricorda Goffredo Fofi, le storie di Dahl parlano di bambini che imparano ben presto a distinguere ciò che gli adulti dicono da ciò che gli adulti fanno, e il cui nemico principale è la normalità fastidiosamente conformista e perbenista del mondo adulto. Storie che non vogliono insegnare niente. L’autore stesso dice: “Non ho niente da insegnare. Voglio soltanto divertire. Ma divertendosi con le mie storie i bimbi imparano la cosa più importante: il gusto della lettura”.


Ma prima di scrivere racconti per l’infanzia, Roald Dahl pubblicava storie per adulti sul New Yorker e Playboy. E proprio negli Stati Uniti aveva conosciuto e sposato nel 1953 l’attrice Patricia Neal, e i loro 5 figli stavano spesso in compagnia del padre in Inghilterra mentre la madre tornava a Hollywood.

Ma nel febbraio del 1965, incinta della quinta figlia, Patricia fu colpita da un ictus, restò in come 21 giorni ma si riprese. La figlia, Lucy, nacque sana ma Patricia rimase semiparalizzata. Con un intensivo programma di riabilitazione riuscì però a riprendersi e alla fine riassunse così: “ero testarda, ecco tutto”.

Le storie di Dahl, dalla Fabbrica di cioccolato ai Gremlin ai racconti di Matilde al GGG, il grande gigante gentile, non sono solo un sogno, ma sono a volte talmente aderenti alla realtà che sembrano quasi scientifiche, in quella sottile intersezione avventurosa tra realtà e magia che, come diceva Arthur Clark, è solo la scienza che non ci siamo ancora spiegati.

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