Capitolo 1: Dai gesti alle parole

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Dai gesti alle parole

La filogenesi della comunicazione umana

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Dr. Francine "Penny" Patterson e Koko

Come tutte le belle storie, anche questa parte da un tempo lontano. Per comprendere il valore della narrazione occorre avventurarsi alla ricerca della sua radice: la comunicazione animale. La comunicazione infatti non è prerogativa umana. In tutto il mondo animale e vegetale esistono diverse forme di comunicazione. Gli antropologi e gli etologi hanno studiato il modo in cui le grandi scimmie (e soprattutto gli scimpanzé, gli animali con il corredo genetico più simile al nostro) comunicano scoprendo che la più alta forma di comunicazione animale è proprio una loro prerogativa. Il modo in cui le grandi scimmie comunicano è intenzionale: vogliono qualcosa, altrimenti non fanno questo sforzo. L’intenzionalità si manifesta in due modi: con i gesti e con le vocalizzazioni. Ma tra i due strumenti in dotazione alle grandi scimmie, le vocalizzazioni non sono che degli arnesi poco efficienti: una scimmia non sa modulare la voce in maniera sofisticata. Gli scimpanzé per comunicare usano prevalentemente i gesti. Facciamo degli esempi di gesti intenzionali usati dagli scimpanzé e loro funzioni (da Call, Tomasello, 2007, ibid):

Braccio in alto = avviare un gioco

Tocca-schiena = richiesta di essere portato sulla schiena

Elemosina = richiesta di cibo

Scuote-testa = avviare il gioco

Sollevare il braccio = iniziare a passeggiare in due

Questi sono gesti intenzionali. Ma gli scimpanzé attuano alcuni segnali che non si definiscono movimenti di intenzione ma richiami all’attenzione, come:

Schiaffo in terra = spesso significa giocare

Tirare cose = spesso significa giocare

Battere la mano = spesso significa giocare

Offrire la schiena = Di solito significa invitare alla pulizia reciproca.

Gli scimpanzé quindi comunicano con gesti di intenzione e con richiami all’attenzione. Il gesto è sempre lo strumento preferito per comunicare.

Gli altri animali non arrivano a questa raffinatezza comunicativa. Il pavone sfoggia la sua formidabile coda per fare colpo sul partner. Il cane mostra i denti per avvertire di stare alla larga, se invece si mette a pancia all’aria ti sta comunicando la totale sottomissione: fai di me quello che vuoi, basta che mi coccoli un po’. [I cani sono incredibili comunicatori, come scrive Stephen Busiansky (L’indole del cane, cortina 2004), se un ricercatore marziano scendesse sulla terra, la scoperta più stupefacente che farebbe è l’adattamento del canis familiaris all’homo sapiens e viceversa. La comunicazione tra queste due specie è qualcosa di introvabile in altre coppie di animali diversi]. Il pavone che mostra la coda o il cane che si mette a pancia in su sono per i biologi forme di comunicazione. Per un biologo, come ricorda Tomasello (p.25 ibidem) “la comunicazione comprende tutte le caratteristiche fisiche e comportamentali che influenzano il comportamento altrui (…) senza tenere in alcun conto se il segnalante abbia un controllo intenzionale sul segnale (o addirittura se sappia che questo influenza gli altri)”. Per quasi tutti gli animali la comunicazione non è intenzionale, e questa è la prima grande differenza. Per le grandi scimmie invece la comunicazione è intenzionale.

Gli animali attuano due tipi di segnali: le “esibizioni comunicative” e i “segnali comunicativi”. Le prime sono prettamente fisiche, come l’alzarsi in piedi dell’orso prima di un combattimento. Tutte queste sono esibizioni comunicative che influenzano il comportamento di un altro animale e per la maggior parte sono involontari. Pochissime nel mondo animale sono le esibizioni comunicative intenzionali o anche detti segnali comunicativi. Quando un gatto vede un cane a breve distanza si inarca alzando il pelo: questo è un riflesso non intenzionale ma è sicuramente una esibizione comunicativa perché influenza il comportamento del cane che scopre di fronte a sé una preda. I segnali comunicativi “forse sono esclusivi dei primati se non addirittura delle grandi scimmie” (p. 26 ibid). Una comunicazione animale più evoluta è quindi quella intenzionale ed è appannaggio esclusivo dei primati. Il comunicatore intenzionale comunica con un segnale perché pensa di ricevere un beneficio dalla comunicazione.

Gli scimpanzé (e le grandi scimmie in generali) sono i parenti più stretti che abbiamo nel regno animale. I due modi che hanno per comunicare sono quello gestuale e quello vocale. Ma è dimostrato (Pollick, De Waal, 2007) che le loro abilità comunicative sono molto più sviluppate nei gesti che nelle vocalizzazioni. Quando si trovano in presenza di uomini (allo zoo, in laboratorio o in una casa privata) le grandi scimmie inoltre usano i gesti (nuovi gesti) per comunicare. Queste scimmie imparano nuovi gesti per attirare l’attenzione ma non imparano nuove vocalizzazioni.

E qui arriviamo al secondo punto cruciale del nostro discorso. La più sviluppata gestualità delle scimmie rispetto agli altri animali è secondo Tomasello l’anello mancante dell’evoluzione del linguaggio da primati non umani a umani. L’uomo (homo) comincia a comunicare in maniera sofisticata imitando i gesti delle grandi scimmie. L’imitazione è quindi prerogativa umana. L’uomo imita la più sofisticata forma di comunicazione in giro. Ma non si ferma qui. Una volta capita l’importanza adattiva della comunicazione, l’homo fa un enorme balzo in avanti e a differenza dei cugini primati, l’homo aggiunge un tassello: la condivisione.

 

Questo video mostra quello che viene ritenuto il racconto (sequenza di eventi coerenti in ordine cronologico) del gorilla Michael (1973-2000) sull’esperienza della morte della madre da parte dei bracconieri. Michael è considerato il primo gorilla storyteller, con un vocabolario di 600 gesti che ha imparato da un altro gorilla famoso: Koko (1971-2018). Entrambi hanno vissuto allo Zoo di San Francisco (Woodside, California) sotto la supervisione e la ricerca quarantennale di Penny Patterson. Koko aveva imparato più di 1.000 segni comunicativi e riconosceva circa 2.000 parole della lingua inglese. La sua comunicazione però mancava di una grammatica. [SE IL VIDEO NON SI CARICA SEGUI QUESTO LINK https://youtu.be/hfNc3IjDrGU

Ad un certo punto della Storia, l’uomo ha cominciato a differenziare la funzione dei suoi gesti e li ha resi non solo intenzionali ma di una intenzionalità condivisa. La differenza tra la comunicazione delle grandi scimmie e quella dell’uomo sta proprio nella cooperazione. Una scimmia non comunica se non per un proprio vantaggio. La comunicazione dell’uomo invece è una attività di collaborazione. Se le scimmie usano gesti e vocalizzazioni per comunicare e sono in grado di veicolare segnali comunicativi o esibizioni intenzionali (a differenza degli altri animali), l’uomo ha imitato i gesti delle scimmie e li ha resi in qualche modo ‘altruistici’. L’uomo ha imparato a comunicare per un fine sociale, una cosa soltanto umana e non presente nemmeno negli scimpanzé. La comunicazione umana è tale quando è cooperativa e non solo quando intende indurre gli altri a fare qualcosa. L’ “altruismo” è inteso come leva alla cooperazione, ad esempio nella spartizione del bottino di una caccia. Per riassumere: gli animali comunicano in modi diversissimi, ma solo le grandi scimmie usano i gesti per comunicare intenzionalmente. I primi uomini hanno imparato questa comunicazione intenzionale dalle grandi scimmie e l’hanno imitata, ma poi hanno fatto un passo in avanti e aggiunto la condivisione: la comunicazione per la prima volta diventa un’azione pro sociale.

Comunicazione animale (esibizioni comunicative) > comunicazione intenzionale (grandi scimmie) > imitazione dei gesti e comunicazione intenzionale condivisa pro sociale (homo)

Facciamo un esempio raccontando una storia.

Diciamo che state programmando un weekend a Parigi con il vostro fidanzato o fidanzata. Avete studiato francese ma non lo parlate da molto e la vostra spavalderia linguistica viene inibita dal primo barista che non capisce che avevate semplicemente chiesto croissant e caffè. Allora cominciate a prodigarvi in gesti, gesti buffissimi che il vostro fidanzato o fidanzata prontamente poi useranno per prendervi in giro mimandoli e molto probabilmente accentuandoli. Le pantomime che il vostro fidanzato sta facendo per prendervi in giro sono in realtà le prime forme umane di comunicazione “che hanno fornito le basi per lo sviluppo di quei modi dell’interazione sociale. L’imitazione con i gesti è la prima forma di comunicazione tipicamente umana. I primi uomini quindi hanno imitato la complessa grammatica gestuale delle scimmie e l’hanno usata per scopi sociali” (ibid). La differenza sta nell’usare questi gesti per un fine sociale, per la cooperazione, per la intenzionalità condivisa, ad esempio per la caccia o per la raccolta oppure per affrontare nemici più forti di un singolo individuo homo.

Mimare i gesti delle scimmie ha aperto ad un’altra azione creativa, questa volta soltanto umana: l’additare. Perfino gli infanti pre-linguistici comprendono il gesto di indicare con il dito. “L’infrastruttura sociocognitiva  e sociomotivazionale che ha permesso queste nuove forme di comunicazione ha agito poi come una specie di piattaforma psicologica sulla quale i vari sistemi di comunicazione linguistica convenzionale (tutte le seimila lingue del mondo) sono stati costruiti. additare e mimare sono state dunque i punti critici di passaggio nell’evoluzione della comunicazione umana, e in essi è già contenuta ab initio la maggior parte delle forme tipicamente umane di cognizione e motivazione sociale richieste per la successiva creazione dei linguaggi convenzionali”. Additare è il primo gesto tipicamente umano, il balzo comunicativo dell’uomo. Con i gesti deittici si passa dalla comunicazione richiedente alla comunicazione informante. L’informazione è una attività comunicativa prerogativa dell’uomo. Attraverso l’informazione l’uomo comincia il suo percorso solitario nello sviluppo della comunicazione.

Per addentrarci nell’importante argomento del gesto dell’additare, facciamo un altro esempio riportando una storia preso dal saggio di Michael Tomasello Le origini della comunicazione umana: la storia della bicicletta dell’ex fidanzata. Se io e un amico stiamo entrando in biblioteca e io indico le biciclette parcheggiate, l’amico mi dirà: e allora? Ma se il mio amico ha appena rotto con la fidanzata e io indico proprio la bicicletta della fidanzata, il mio gesto di additare significherà: occhio che la tua ex è già in biblioteca, forse è meglio andare da un’altra parte. Il gesto di indicare, di per sé così semplice e debole di significati, assume un significato molto rilevante e forte.

In quale modo il gesto diventa rilevante? Grazie ad un elemento sottinteso: il terreno comune di conoscenza (Wittgenstein lo chiama forma di vita, 1953; Jerome Bruner lo chiama formati attenzionali congiunti, 1983; per Clark è il terreno concettuale comune, 1996). Il terreno comune è una sorta di lettura della mente: entrambi sappiamo qualcosa (nell’esempio della bicicletta entrambi sappiamo che l’amico ha appena rotto con la fidanzata). Senza il terreno comune, senza la reciprocità, non c’è passaggio tra un gesto con un significato debole ad un gesto con un significato forte.

L’informare attraverso un gesto deittico ha una utilità sociale. La motivazione pro sociale è tipicamente umana. Io sto dando al mio amico questa informazione perché è utile a lui, non tanto a me. La mia utilità è importante ma secondaria, decido di informare il mio amico per la fiducia e l’amicizia che ci lega (e creare in questo modo un legame sociale, necessità dell’uomo). Questo aspetto non è presente nella comunicazione del mondo animale. Se due cani vivono in una casa e la casa va in fiamme, uno dei due cani scapperà senza indicare nulla all’altro. Questo non perché il fuggitivo è un cane cattivo ma perché le loro “motivazioni comunicative non includono l’azione di informare gli altri in modo utile” (p. 18 ibid).

“Gli umani invece sono quegli animali che nel corso dei millenni hanno sviluppato questa incredibile capacità cooperativa” (ibid). Un uomo non ha denti molto aguzzi, non respira sott’acqua, non vola, non corre molto veloce, non sopporta troppo il freddo né troppo il caldo, ma ha una grande capacità, qualcosa che tutti gli altri animali non hanno: la possibilità di comunicare per cooperare. Servono, come abbiamo visto, due aspetti contemporanei: il primo è un terreno concettuale comune posto reciprocamente (vedi Paul Grice 1957, 1975); il secondo sono le motivazioni comunicative cooperative reciprocamente poste (p. 19 ibid).

Per questo motivo la cooperazione umana è anche chiamata ‘intenzionalità condivisa’: “ciò che serve per impegnarsi in quelle forme unicamente umane di attività cooperativa in cui è implicato un soggetto plurale, un noi” (p.19 ibid).

Un homo non può nulla contro un orso. Ma tanti uomini sono in grado di creare una trappola che ad esempio farà cadere l’orso dentro un buco. L’uomo, certo, non è l’unico animale in grado di cooperare: anche le iene cooperano in caccia e uccidono animali dieci volte più grandi di una singola di loro. Ma l’uomo coopera usando non solo l’istinto ma la comunicazione intenzionale. Questo porta l’uomo a creare intenzioni condivise astratte che vanno al di là del puro istinto.

Facciamo un salto in avanti e portiamo alcuni esempi di intenzioni condivise astratte: il denaro; la patria; le istituzioni. Questi sono tutti concetti astratti che non esistono de facto ma in cui tutti noi crediamo, e quindi esistono eccome: si definiscono “convenzioni arbitrarie”. Secondo Tomasello, “la cooperazione umana, che ricorra a gesti ‘naturali’ o a convezioni arbitrarie è un caso, per quanto speciale, di quel tratto unicamente umano che è l’azione cooperativa fondata sull’intenzionalità condivisa (Tomasello, Carpenter, Call et al 2005). Le abilità e le motivazioni dell’intenzionalità condivisa costituiscono dunque quella che potremmo definire infrastruttura cooperativa della comunicazione umana. (…) Gli umani hanno cominciato ad usare queste motivazioni intenzionali condivise accorgendosi del vantaggio adattivo che portavano. In questo modo hanno cominciato a costruire una base comune che possiamo definire culturale, una “comune infrastruttura psicologica di intenzionalità condivisa” (p.20 ibid.)

Per comunicare come un umano quindi occorre condividere un mondo di comprensione e avere un’intenzione pro sociale. Questi due aspetti creano l’infrastruttura dentro cui funziona la comunicazione umana. Da qui nasce la nostra specifica comunicazione, quell’attività soltanto umana di cooperare condividendo un terreno comune e portando un’utilità sociale. (Tomasello ibid p. 23):

La genesi della comunicazione umana quindi necessita di tre aspetti:

Il primo: la comunicazione cooperativa umana è apparsa inizialmente nel corso dell’evoluzione con i gesti naturali e spontanei dell’additare e del mimare – e la stessa cosa accade nel corso dell’ontogenesi (ontogemesi: in biologia, l’intero processo di sviluppo di un organismo, cioè la serie successiva di stadi e di progressivi cambiamenti che l’uovo (o l’ovocellula, nelle piante) e poi l’embrione attraversano in una sequenza ordinata nel tempo , per dare origine all’individuo di quella determinata specie, Treccani)

il secondo: la comunicazione cooperativa umana poggia essenzialmente su una infrastruttura psicologica di intenzionalità condivisa, originatasi durante l’evoluzione a sostegno delle attività di collaborazione. Tale infrastruttura comprende come suoi elementi fondamentali:
a) abilità sociocognitive per creare insieme con gli altri intenzioni congiunte e attenzione congiunta (e altre forme di terreno concettuale comune).
b) motivazioni (e addirittura regole) pro sociali volte all’aiuto e alla condivisione.

il terzo: la comunicazione convenzionale, così come è incarnata in una delle lingue umane, è possibile solo quando i partecipanti possiedono già: a) gesti naturali accanto alla loro infrastruttura di intenzionalità condivisa. b) abilità di apprendimento e imitazione culturale necessarie per creare e trasmettere convenzioni e costruzioni comunicative congiuntamente comprese.

L’uomo, a differenza degli altri animali, ha creato nel corso dell’evoluzione una infrastruttura molto evoluta che arriva al linguaggio (a seimila lingue diverse!) e parte dai gesti intenzionali e da un terreno concettuale comune. Indicare all’amico la bicicletta della ex significa avere lo stesso terreno di comprensione, sapere entrambi della rottura con la fidanzata, infine veicolare un comportamento pro sociale di altruismo. E intanto sperare che l’amico la dimentichi in fretta! Quel gesto con il dito esteso ad indicare la bicicletta diventa un gesto significativo se inserito in una infrastruttura di intenzionalità condivisa, una infrastruttura chiamata “Modello cooperativo della comunicazione umana”. In questo modello, come ricorda Tomasello,


a) i comunicatori e i riceventi umani creano l’intenzione congiunta della comunicazione efficace, con un aggiustamento reciproco quando questo serve. 

b) gli atti comunicativi umani sono fondati sull’attenzione congiunta e la comprensione condivisa della situazione presente

c) gli atti comunicativi umani sono eseguiti per motivi fondamentalmente pro sociali, come informare gli altri di cose in maniera utile e condividere liberamente con essi emozioni e atteggiamenti.

d) i comunicatori umani operano in base ad assunzioni (o addirittura norme) di cooperazione condivise tra tutti i partecipanti.

e) le convenzioni linguistiche umane, come vetta del discorso umano, sono fondamentalmente condivise, nel senso che entrambi sappiamo insieme che entrambi stiamo usando una convenzione allo stesso modo.

Anche il bambino impara a comunicare partendo dai gesti, prettamente quelli deittici. Questo è un comportamento solo umano perché di tipo relazionale-cooperativo. Anzi, la struttura cooperativa arriva prima ancora dell’acquisizione del linguaggio da parte del bambino. L’additare del bambino come comunicazione gestuale pre-linguistica non dipende né dalla produzione né dalla comprensione del linguaggio: bambini sordi additano nello stesso modo di bambini normoudenti  (Lederberg, Everhart, 1998, Spencer, 1993).

Il gesto dell’additare e altri gesti comunicativi appaiono prima del linguaggio, ma non prima dell’intenzionalità individuale e condivisa. Le motivazioni dei bambini per additare sono due: chiedere cose agli adulti e condividere emozioni con essi. Ma questo appare soltanto dopo la creazione di una infrastruttura attenzionale congiunta e la creazione di un terreno comune: il bambino prima comincia a percepire gli altri come agenti intenzionali e quindi come facenti parte di un universo cooperativo. Il modello cooperativo prima si sviluppa e poi ha come manifestazione la gestualità e in secondo luogo il linguaggio.

Il gesto di additare è fondamentale nella filogenesi della comunicazione perché permette all’homo di staccarsi dalla comunicazione di tutti gli altri animali. Dopo l’imitazione e l’invenzione dell’additare, l’uomo ha avuto la necessità di creare delle convenzioni comunicative che potessero fungere da proto-grammatica della comunicazione. “Le convenzioni comunicative emersero quando alcuni outsider presero a imitare gesti iconici delle grandi scimmie, percependone i fini comunicativi ma in assenza quasi totale di terreno comune – cosa che portò nel corso del tempo a una sorta di “deriva verso l’arbitrario” generalizzatasi poi alla creazione delle convenzioni” (ibid).

Con la creazione delle convenzioni l’uomo ha trovato il terreno fertile per evolvere la comunicazione gestuale. Il limite dei gesti è la sua dimensione intima. Lo spazio pubblico è troppo grande per comunicare soltanto con i gesti. L’uomo nel corso della storia ha scoperto che la voce, o meglio le vocalizzazioni, agiscono in maniera molto più adattiva nello spazio sociale. L’uomo ha cominciato quindi a comunicare preferendo la voce. Parlare significa collocare la comunicazione in uno spazio pubblico. Qualcosa di molto complicato da fare con i gesti: “la comunicazione vocale colloca assai meglio le cose nello spazio pubblico. Ma il passaggio deve aver fatto ricorso a gesti significanti basati sull’azione, usati come una sorta di ponte temporaneo, visto che le convenzioni comunicative arbitrarie non possono nascere senza in qualche modo “cavalcare” attività comunicative già significanti per conto loro” (ibid).

L’uomo comincia la sua filogenesi comunicativa mimando i gesti comunicativi dei primati, li colloca in uno spazio di intenzionalità condivisa, li supera con l’invenzione dei gesti deittici (additare), la creazione di una convenzione proto-grammaticale e infine con l’uso della voce: in modo che più individui potessero sentire un proto-discorso.

Questi proto-discorsi sono retti da una convenzione grammaticale. Anche le grandi scimmie usano una sorta di grammatica: collegano i loro gesti in sequenze usate per comunicare con gli altri (chiamata anche “sintassi semplice”: segmentare il messaggio in elementi multipli, spesso secondo la distinzione evento-partecipante). Ma se l’uso della sintassi semplice da parte delle grandi scimmie ha la funzione di richiesta di fare qualcosa in questo momento, allora non serve una più profonda struttura sintattica.

Richiedere è una motivazione sufficiente per comunicare. Non serve una grammatica evoluta, bastano dei gesti, finanche in sequenza. L’homo fa un balzo culturale in avanti e informa. Per informare invece occorre possedere una grammatica più complessa. Informare è una manifestazione evoluta della comunicazione cooperativa e necessita di due diversi elementi:
a) specificare di quali particolari eventi e partecipanti si sta parlando
b) marcare i ruoli che essi giocano nell’evento o nella situazione di cui si parla.

L’informazione esiste sempre in un ambito sociale. Condividere informazioni è molto utile socialmente perché serve a espandere il terreno comune culturale: somigliare a tutti gli altri membri del gruppo, essere apprezzati ed essere capaci di comunicare più intimamente con loro –  e dunque serve come forma di identificazione e di legame sociale. (…) questa motivazione di condivisione/identificazione ha condotto, in ultimo, anche alla normatività di molti comportamenti sociali, all’implicita pressione sociale del “fare come fanno tutti”. (…)

L’ultimo anello della catena comunicativa è quindi la condivisione delle informazione in ambito sociale. “Una delle sedi più importanti in cui persone di ogni cultura condividono informazioni e atteggiamenti con gli altri membri del loro gruppo è quella delle narrazioni. Sostanzialmente, tutte le culture hanno narrazioni che aiutano a definire il gruppo come entità coerente nel tempo – miti cosmogonici, racconti popolari, parabole e altro – e in effetti queste narrazioni sono trasmesse da una generazione all’altra come parte della matrice culturale del gruppo”.

La più grande difficoltà sorge quando in una comunicazione occorre correlare eventi diversi nel tempo e quando dobbiamo fare riferimento ai vari individui che prendono parte alla narrazione. Questo meccanismo si chiama “sintassi elaborata”: le grammatiche sono nate proprio per far fronte all’enorme complessità comunicativa delle narrazioni. Secondo Tomasello questo è un tratto tipico del Tardo Sapiens. La grammatica (le convenzioni) sono nate quindi a supporto dei racconti, forme troppo evolute di comunicazione per essere veicolate da una ‘sintassi semplice’. Una storia è un insieme di elementi narrativi che si muove in un piano temporale. Se non si legano gli elementi narrativi tra loro, la storia non si regge in piedi. La grammatica è nata per dare delle regole a questi proto-racconti che si muovevano probabilmente in maniera incoerente nell’orazione.

Raccontare una storia significa “padroneggiare una classe di strumenti necessari a fornire coerenza e coesione agli eventi” (p. 240). La difficoltà sta perciò nella gestione della temporalità ( Tomasello la chiama “arcana contabilità temporale”, p.240 ibid.) e degli attori della scena, i referenti da evento a evento.

“La funzione comunicativa guida l’intero processo, in modo che tutte le comunità linguistiche che vogliono raccontare narrazioni e ingaggiare altre forme di “discorso esteso” devono creare convenzioni grammaticali” (p.240).

L’uomo crea delle convenzioni molto sofisticate per poter comunicare nel modo più evoluto: solo in questo modo è possibile (nel senso che è coerente e coesa) la narrazione.

Riassunto del primo capitolo:

Per riassumere questo primo capitolo sulle origini della comunicazione umana, abbiamo visto che tutto parte dai gesti che le scimmie usano per comunicare, strumenti comunicativi più evoluti delle esibizioni comunicative usate dagli altri animali. Le scimmie inventano i segnali comunicativi che comprendono una certa dose di intenzionalità. Ma l’intenzionalità delle grandi scimmie nella comunicazione non è costruita per avere un ruolo pro sociale, bensì per il proprio tornaconto. La socialità delle scimmie rimane appannaggio della sfera istintiva (caccia, accoppiamento, muoversi nella scala sociale di dominanza). I primi homo hanno imitato le scimmie nei loro gesti perché si sono accorti che i gesti intenzionali delle scimmie erano le forme di comunicazione più evoluta nel regno animale. Ma poi hanno aggiunto un elemento tipicamente pro sociale: il gesto di additare. Additare significa non solo richiedere, ma informare gli altri. Per informare occorre creare un terreno condiviso culturale dentro cui appoggiare la comunicazione. Questo tipo di comunicazione ora ha la possibilità di evolversi in convenzioni arbitrarie sempre più sofisticate perché non esiste più un limite fisico: la cultura è un’entità astratta. Quindi astrattamente gli homo sapiens hanno cominciato a creare convenzioni, grammatiche che supportassero questo tipo di comunicazioni. Si sono accorti che i gesti non erano strumenti di comunicazione efficaci se usati in uno spazio pubblico e quindi, imitando gli altri animali, hanno usato la voce (o vocalizzazioni) per comunicare ad un pubblico più ampio. Le narrazioni, ovvero il modo di legare eventi diversi in un ordine temporale, veniva fatto prima con i gesti ma poi e in maniera ben più efficace con la voce. Nascono i primi suoni che identificano i primi significati e che danno origine poi alle parole: nasce il racconto.

Di seguito alcune citazioni dal libro di Michael Tomasello (ibid. 2004)


“La strada verso la comunicazione cooperativa umana inizia con la comunicazione intenzionale delle grandi scimmie che si manifesta principalmente nei gesti” (p. 268)


“La comunicazione cooperativa umana è più complessa della comunicazione intenzionale delle grandi scimmie perché a essa soggiace un’infrastruttura sociocognitiva che include non solo la capacità di comprendere l’intenzionalità individuale ma anche la capacità e le motivazioni per l’intenzionalità condivisa” (p.268)

L’ontogenesi della comunicazione gestuale negli infanti umani, in particolare la deitticità, fornisce una prova empirica delle varie componenti dell’infrastruttura cooperativa qui ipotizzata e una connessione con l’intenzionalità condivisa – e ciò prima che inizi l’acquisizione del linguaggio. (p.270)

La comunicazione cooperativa umana è emersa filogeneticamente come parte di un più ampio adattamento all’attività di collaborazione e alla vita culturale in genere (p.271)

La dimensione grammaticale della comunicazione linguistica umana consiste nella convenzionalizzazione e trasmissione culturale delle costruzioni linguistiche – in base ad abilità cognitive generali e e di intenzionalità condivisa e imitazione – al fine di soddisfare i requisiti funzionali delle tre motivazioni comunicative fondamentali: richiedere, informare, condividere, il che porta alla creazione di una grammatica.

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