La fine del primo anno del corso per diventare counselor professionista. La scuola è la Sibig (Milano – Padova) che integra Gestalt con bioenergetica e analisi transazionale. In un panorama di zone grigie del counseling, devo dire che la Sibig è davvero seria e professionale. 10 weekend all’anno con docenti sempre diversi, un residenziale di 5 giorni, un esame teorico e pratico, una bibliografia completa. Questo ogni anno per 3 anni e poi esame in AssoCounseling. Soldi ben spesi.
Ma il valore più grande è l’accesso ad una professione umile. Per fare il counselor, per farlo bene, devi spogliarti di tutto, devo spogliarmi di tutto. Diventare uno strumento per l’altra persona. Senza etichette, paradigmi rigidi, anzi. Vivere il momento in cui la persona che hai davanti (o il gruppo) sta parlando, sentendo, muovendosi. La realtà è tutta qui.
Che cosa ha cambiato in me: la percezione del tempo. Sono sempre stato attratto dal futuro. Sembra che l’equazione sia la seguente: più sai gestire il futuro e più aumenta il tuo salario. E quindi ruolo sociale e riconoscimento. Sono convinto sia così. Ma sono convinto che sia anche una grande illusione. Meglio non pensare troppo al futuro, al ruolo sociale, al salario. Meglio pensare al momento che sto vivendo sentendolo con i sensi, con le emozioni, con l’intelletto.
Il counselor è un mezzo per gli altri per trovare da sé le soluzioni. Non giudica, accetta tutto, ascolta, non dà consigli, non interpreta. Il counselor è uno strumento umile nelle mani della persona che ha di fronte.
Cosa c’è di meglio?
Quindi quello che faccio ora quando sono con qualcuno, chiunque: amico, studente, collega, uno sconosciuto. Quello che faccio è ascoltare. Non interrompere. Non giudicare quello che dice, che fa. Fare domande. Chiedere: se ho capito bene stai dicendo che…
Gli altri siamo noi, e quindi accettare in maniera incondizionata l’altro significa accettare noi per primi. Che grande scoperta.