Non è facile parlare di Gheddafi. Ne parliamo bevendo un altro sorso seduti al bar con le infradito lamentandoci del caldo.
Gheddafi è il dittatore della Libia da quarantadue anni. Quarantadue. Il 17 febbraio 2011 la morte di un manifestante ha fatto scodellare il vaso di Pandora.
Ne è uscito di tutto. Oggi, adesso, in Libia si sta combattendo una guerra civile. Militari e mercenari guidati da Gheddafi uccidono e sono uccisi dai ribelli e dagli Alleati (di cui l’Italia fa parte).
I mercenari violentano le mogli e le figlie dei ribelli nei villaggi e nelle città. I ribelli li prendono e scavano una fossa. Buttano dentro i mercenari e li ricoprono di terra. Vivi. I musulmani credono nell’inferno e nel paradiso come i cristiani. La violenza sulle donne è un atto diabolico. Come il diavolo quindi preferisci stare sotto terra? Chiedono. E buttano terra in faccia. Ancora terra. Vivi.
Chi ha ragione?
Gheddafi uccide il suo popolo.
Ho conosciuto un uomo libico la scorsa settimana a Verona. La sera si esce, la calma è apparente, ma le foto di febbraio sono di persone tagliate a metà dalle bombe che anche noi abbiamo deciso di sganciare.
Tagliate a metà.
La consapevolezza è tutto. Consapevolezza di quello che mangi, del tuo lavoro, dei tuoi vicini, del ciclista che ti sembra invada la strada, della polvere sotto al letto, della guerra a pochi chilometri da casa, della manovra e dei parlamentari che quel giorno non vanno a votare, della guerra, della guerra.
Ti sei accorto del vento?