La Corea del Nord è una dittatura politica.
Niente di simpatico, non puoi nemmeno vedere la partita di calcio contro il Brasile.
E nemmeno vedere il gol che la tua piccola nazione fa al mostro sacro del calcio mondiale che per batterti deve sudare e vincere di misura.
La partita è stata trasmessa 17 ore dopo. La censura ha controllato tutto per bene e ha detto: ok, trasmetti.
Se sei sudcoreano, sei simpatico. Ho conosciuto ragazzi sudcoreani e parlano fortissimo e ridono a squarciagola.
Niente a che vedere con l’immaginario asiatico che uno ha in testa.
Nordcoreani no. E’ tutto bloccato, spento, controllato.
Di 23 giocatori partiti per il Sudafrica, 4 non si trovano più. Saranno scappati, avranno chiesto asilo politico in Namibia, lì vicino.
La foto sopra ritrae il capitano della squadra sudcoreana in lacrime durante l’inno.
Ora mi chiedo: noi qui con wordpress e i blog, il lavoro, le feste, le mostre, i giri in bici e le incazzature, il calcio e le menate tipo Padania Libera.
Loro lì che non sanno nulla se non quel poco che filtra da Pyongyang, ma si allenano, vanno avanti, giocano contro il Brasile.
Lo stadio è gremito. Le vuvuzelas hanno già rotto abbastanza le palle. In fila, uno di fianco all’altro, il tuo Paese, la tua bandiera.
Locale, ora globale: glocale.
Bam! Piangi. Piangi fuori tutto. Tutte le ore di allenamento, le attese, i libri e gli articoli di nascosto su chi è il tuo avversario, le paure.
Lì, di fronte a tutti, c’hai pensato una vita intera. Non sai se è giusto che la tua bandiera sia una cosa chiusa, anacronistica, fuori di testa, dittatoriale.
Eppure è la tua bandiera, mica hai scelto tu di nascere lì.
Allora piangi. E’ un istinto. E’ la prima cosa che fai quando nasci. Quando non sai fare altro.