Radio Bullets – Camminare senza scarpe fa parlare di più con le persone?

Il podcast della puntata di La Storia della tua Mappa del 23 08 2016 per Radio Bullets

Camminare senza scarpe fa parlare di più con le persone. Oppure le allontana? Ho conosciuto Bashir un giorno di vento alle pendici del monte Catria.

Se prendi l’autobus e sali dal Conero, nelle narici si infila lo iodio del mare prima, poi lo zolfo dell’entroterra, ricordo della miniera chiusa da anni, e sui campi, dice un contadino seduto più in là, non serviva fare alcun trattamento che il vento si arrangiava, e infine un odore di ferro e fuo ri dal finestrino il suolo rossiccio e farinoso.

Saliti verso il monte, l’autobus si ferma all’eremo di fonte avellana, una piccola basilica. E nel sentiero che parte dall’eremo verso il bosco incontro Bashir e Bashir non ha scarpe e allora mi avvicino e non dico niente.

Lui sta tagliando con un piccolo coltello una pianta che scopro poi essere una genziana con cui si fa un infuso che aggiusta qualsiasi stomaco guasto, “ma l’infuso – dice – lo fai con la radice per cui il fiore puoi pure rimpiantarlo che crescerà”. Questo me l’ha detto lui, Bashir, colui che porta le buone notizie, aggiunge, e che buona notizia porti? Lui non risponde.

Non riesco a fare a meno di guardargli i piedi scalzi e ad un certo punto gli chiedo se camminare senza scarpe fa parlare di più con le persone, l’ho letto in un libro. Lui sta piegato a sradicare quelle piante e ride piano. Si siede e mi guarda con i suoi occhi neri, di anni ne avrà un’ottantina. “Stiamo troppo tempo per aria, dice, stare senza scarpe ci rimette a posto. E poi”, continua, “mi piace sentire il fresco delle foglie sotto i piedi”.

Alla sera torno all’eremo e enteo nella bottega ad acquistare l’amaro alle erbe dei monaci camaldolesi, non si faceva che parlare d’altro nel tragitto dal mare, e un po’ di cioccolata. Rivedo Bashir che cammina sul piazzale. Tiene in mano un sacchetto di plastica azzurro colmo di piante che si intravedono e si avvia verso l’eremo. Chiedo al commesso del negozio chi è quel tizio. Mi dice che è un tipo strano, viene tutte le estati, parte al mattino presto e torna la sera con quel suo sacchetto pieno. Quando arriva con l’autobus ai primi di agosto, scende, si toglie le scarpe e le appende con i lacci ad un albero nel bosco, sempre lo stesso albero. Poi a fine mese va a riprenderle, se le rimette, sale sull’autobus e non lo vediamo per un anno. E cosa ne fa di tutte quelle piante? chiedo. Proprio questo, mi risponde e indica l’amaro alle erbe che sto acquistando.

Sul piazzale lo vedo sparire dentro ad una porta stretta. Il conducente dell’autobus mette in moto, scende e fuma una sigaretta appoggiato al mezzo, fra poco si parte. Corro dentro alla porticina dove ho visto sparire Bashir.

Il buio mi piomba addosso e allungo le mani per cercare di non sbattere contro qualcosa. Un soffio di vento arriva dal lato destro. Lo seguo. Entro in una stanza dove la luce è appena accennata. Vedo Bashir con le ginocchia gomiti mani testa appoggiate ad un tappeto che prega. Il sacchetto aperto pieno di piante al suo fianco. Lascio un libro, il libro dei piedi scalzi che ti fanno parlare con le persone, vicino al sacchetto. Tre Cavalli, Erri de Luca. Mi piaceva la filastrocca in quarta di copertina. Tre anni una siepe, tre siepi un cane, tre cani un cavallo, tre cavalli un uomo, come Bashir.

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