Erano alcuni mesi che ci pensavo.
Centonove chilometri sotto il sole del Sudafrica. In bici. Mai fatta tanta strada in bici in vita mia. Era un po’ una prova, una motivazione, un estremo, una gara.
Gli estremi fanno bene. A volte.
La gente ai lati della strada a tendere la mano e a battere il cinque, le banane e l’acqua, la musica. La costa e l’oceano, i pinguini che camminano tutti goffi. Quasi cento chilometri così.
Poi lei, l’ultima salita. I cartelli che prendevano in giro i ciclisti con scritte tipo ”you regret you didn’t pick up golf, huh?” e tu sei lì che non ce la fai più e l’ultima salita è lunghissima, lunghissima che non riesci a vederne la fine e pedali, spingi avanti le gambe ancora un po’.
Arrivato in cima, un cartello con la faccia di Elvis citava: ”you are the king of the mountain”
Sapevo che da quel momento sarebbero stati dieci chilometri di discesa, gli ultimi dieci e i mesi a pensarci sarebbero svaniti, l’ostacolo superato, la sfida vinta.
E lì, un’occhiata alle onde dell’oceano sotto, alla spiaggia, a quel sole a picco, alla vita, alla fatica, alle cazzate di tutti i giorni, alle attese, lì mi è venuto da piangere fortissimo.
Ho tenuto tutto, giusto due lacrime, facilmente giustificabili per il vento fortissimo che soffia a Cape Town, sono scappate. Ma il vento le ha asciugate in meno di un chilometro.
Si può fare tutto.
Ps
Grazie a Nikola, amico e coach, per avermi assistito in questa impresa :-) Senza di lui, molto probabilmente sarei ancora lì cacciato dai baboons!