25/07/2015

Blog > Meglio un fattore di un CEO

Mi piacerebbe vedere una riduzione in chiave manageriale di questo libro del 1679, Il buon contadino, capitato per caso tra le mani sfogliando in una libreria marchigiana. L’autore, Giacomo Agostinetti, a ottantadue anni descrive le doti del buon fattore, che con un triplo salto carpiato di senso e ruolo potremmo oggi definire il CEO di un’azienda.

Facciamo il gioco della mimesi: il padrone è il presidente, il fattore il CEO, i salariati i dipendenti, il sale il salario.

Ai proprietari dice di scegliere il fattore come quando si fa la salamoia, senza lesinare sul sale, ché “il risultato non ne sarà pregiudicato in quanto il sale rimarrà inutilizzato sul fondo”.

L’autorità al fattore va data subito e completamente. Infatti “i cavalli tenuti a briglia stretta imbizzarriscono più facilmente di quelli lasciati andare liberamente con il loro carico addosso perché ponderano meglio dove posare lo zoccolo per non inciampare”.

Al fattore consiglia di evitare la superbia perché “sarai tanto stimato quanto meno ti stimerai: il primo indizio della pazzia è quello di considerarsi savio. Ricordati di Lisimaco, il favorito di Alessandro Magno, che morì a causa della sua ambizione”.

E così via. Insegna ad amare la terra, ad ascoltare molto e a parlare meno perché “il buon dio ci ha dato due orecchie ma una sola bocca: ci sono più cose da ascoltare che da dire”, tanto che “assai sa chi non sa, se tacer sa”.

Strano che l’editore Biblioteca dell’Immagine (2004) punti tutto sull’ecologia con una quarta di copertina un po’ naif e nostalgica dove si trova “Una volta la Terra stava bene e parlava ai contadini e i contadini sapevano ascoltarla”. A me qui sembra tutto manageriale ante litteram e molto più interessante dell’ennesimo libro sul ritorno alla terra, la sostenibilità ambientale è solo uno strumento non il fine.

L’azienda come la fattoria.

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